La realtà che conoscevi, completamente distrutta. In un istante.
E tu sei lì, totalmente anestetizzato, come se fossi in una bolla isolata acusticamente ed emozionalmente dal resto del mondo. Le mani che tremano ed il cuore che batte a mille. E poi quella devastante condizione d’impotenza. Freddo.
A un certo punto arrivi a un totale distacco dalla realtà. Se qualcuno ti fa una domanda riesci a rispondere ma se non ricevi un input dall’esterno… non pensi a niente. Ti fischiano le orecchie. Il vuoto.
Tremi.
Passano le ore e lentamente, telefonata dopo telefonata, torni al tuo ruolo, nei panni del personaggio che la gente vuole che interpreti. Ripeti parole, interlocutore dopo interlocutore, fino a quando le parole stesse perdono di significato. Diventa una filastrocca che alla fine reciti con gli occhi asciutti e la voce relativamente ferma.
A un certo punto ti chiudi e cerchi di riprendere contatto con la realtà rimanendo con le poche persone che pensi stiano provando sensazioni simili alle tue.
Dopo due giorni, l’immagine della macchina che si allontana: lo spettacolo è finito. La folla di Via Roma si ritira in pochi minuti e tu capisci che da quel momento nulla sarà più come prima. Lo sconforto. Sei rimasto solo. Ti volti e vedi un gruppo di ragazzi che fino a quel momento ha guardato a te come a un punto di riferimento… ma questa volta è diverso. Non hai risposte da dare, non hai soluzioni né proposte. Non puoi far altro che piangere.
Le ore volano e finiscono le celebrazioni per le strade come sui social, la gente torna alla quotidianità. Chi non riesce ancora a staccarsi da quel pensiero prova a trovare un rifugio concentrandosi sul proprio lavoro.
Ed è in questa fase che io avrei voluto poter fare lo stesso.
Pensare al nostro lavoro non ha fatto altro che affondarmi in uno sconforto ancora più grande perché la nostra attività lavorativa, da qualche mese, si chiamava “Madyon”. Avevamo deciso di fare il passo per diventare professionisti e per questo ci eravamo strutturati. Era tutto previsto dal programma che ho studiato anni fa e che abbiamo sempre seguito durante il nostro percorso, raggiungendo obiettivo dopo obiettivo.
L’uscita del nuovo disco seguita dal tour italiano dei Madyon: io e Paolo eravamo già pronti per tutto. Avevamo appena finito di ristrutturare la formazione che da quest’estate sarebbe partita per portare la nostra musica in giro per l’Italia.
Già, perché nelle ultime settimane è stata fatta un po’ di confusione dai giornali ed è bene fare chiarezza per evitare di fraintendere un weekend di divertimento tra amici con il profilo professionale di Paolo.
Paolo Papini era un artista ineguagliabile, persona di intelligenza superiore, di rara cultura e sensibilità, di raffinata eleganza, classe ed educazione, un grandissimo insegnante, geniale compositore, un professionista di livello internazionale. Con il massimo rispetto verso qualsiasi professione, com’è bene precisare che Paolo Papini non fosse un poliziotto, un elettricista o un medico, è bene precisare come non c’entrasse assolutamente nulla con “concerti per matrimoni e feste di piazza”. Quella era una sorta di vacanza con amici musicisti che non vedeva da tempo. Una delle cose più belle e genuine che possano esserci. Ma non confondiamo le cose.
Paolo Papini veniva con me a Londra a fare i dischi agli Abbey Road Studios.
Paolo Papini era un insegnante.
Sempre al mio fianco, in ogni decisione. Mi voltavo a destra e c’era lui. Il suo sorriso, la sua solidità. La capacità di dire sempre la cosa giusta. Quanto l’ho invidiato. Sempre politicamente corretto e pacifico, anche quando si parlava di persone che gli avevano fatto degli sgambetti. Il suo entusiasmo per qualsiasi novità, quell’entusiasmo che prendevamo in giro facendogli il verso.
“Ma è bellissimo!” o ancora “Ma è stupendo!”
Poi però arrivava il momento di scrivere le canzoni e a quel punto non si scherzava più. Faccia a faccia, in studio con le nostre chitarre. Io, lui e un iPhone per registrare le idee. Ho il cellulare pieno di materiale, così tanto da poterci fare un altro EP.
In questi giorni ho pensato tanto, galleggiando nello sconforto.
Una sera della scorsa settimana sono stato ripescato alla deriva da un amico. Una persona che mi ha ricordato quanto fosse grande la soddisfazione di Paolo per il lavoro svolto sul nuovo disco, durante gli ultimi giorni a Londra. C’è sempre stato molto di lui nella musica dei Madyon ma in questo disco più che mai.
Durante le sessioni di arrangiamento, quando ci trovavamo testa a testa, uno dei concetti che facevamo emergere più spesso era l’importanza di trovare la nota giusta al momento giusto. Non una di più, magari una di meno. Era importante che ogni singola nota avesse un grande impatto sulla canzone, cadendo in modo solenne. Era quella nota lì e non doveva essercene un’altra che potesse suonare meglio in quel posto. Lui era un maestro in questa cosa.
Lui era Il Maestro Paolo Papini.
Oggi quelle note suonano ancora più solenni. Solo da pochi giorni riesco ad ascoltare nuovamente la nostra musica. Per guardare i video invece servirà ancora del tempo.
In questi giorni c’è stato un ricordo in particolare che ha avuto la meglio sugli altri. Era la notte del 31 agosto 2015 e ci trovavamo a una festa di paese, cenando per le strade di un luogo non lontano da Cuneo. Finita la cena mi accompagnò alla macchina e rimanemmo a parlare fino a notte fonda. Tra i vari discorsi legati agli sviluppi dei Madyon, mi disse di quanto lo gratificasse professionalmente il progetto. Mi disse che si fidava di me.
Quella notte gli feci una promessa.
Ora però non è facile. È una situazione davvero delicata ed io, in questo momento, non so nemmeno come comportarmi quando cammino per le strade della mia città. Se penso a tutto ciò che abbiamo già realizzato insieme nei mesi scorsi per portare avanti i nostri sogni… ho il computer pieno di filmati di Paolo, non ancora pubblicati, legati al nuovo disco… e non oso neanche pensare al momento in cui dovremo metterli su Final Cut per lavorarli.
Mi è stato anche detto che il tempo aiuterà a prendere maggiore confidenza con questa situazione. Io non credo mi ci abituerò mai. In caso di dubbi sul da farsi mi è stato consigliato di stamparmi nel cervello la domanda
“Lui cosa ti direbbe di fare?”
Sappiamo tutti quale sarebbe la sua risposta ed io credo che a ripartirò proprio da qui, da ciò che vorrebbe lui. Questo è stato l’unico concetto solido in queste due settimane di devastazione. Qualcuno ci vedrà della strumentalizzazione, ne sono certo… ma non mi importa. In questa situazione l’unica cosa che conta per me è far vedere e sentire chi era Paolo Papini. Insieme a me e agli altri ragazzi ha investito e lavorato molto a questo disco, era una delle cose a cui più teneva e sarebbe una mancanza di rispetto buttare via tutto.
Nei giorni scorsi qualcuno mi ha detto che se prima aveva dei dubbi sul proseguire o meno con questo progetto, questa tragedia gli ha tolto definitivamente lo spirito per andare avanti. Beh io la penso esattamente all’opposto: se prima avevo mille motivazioni per portare avanti questa cosa, ora ne ho una in più.
Ho fatto una promessa a una persona e ho intenzione di mantenerla.
Paolo Papini, il nostro amico, il maestro, la chitarra dei Madyon, per sempre.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!